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Divieto del burqa, un salvagente per l’emancipazione delle donne nell’Islam

Quale donna che non abbia subito un lavaggio del cervello indosserebbe per sua libera scelta un capo opprimente come il Burqa, pesante e di colore scuro il mese d’agosto sotto il sole, quando il marito invece vestito con pantaloncini corti e maglietta, si gusta un gelato in riva al lago? Va detto chiaro e tondo che il velo integrale – il quale impedisce qualsiasi integrazione a chi lo indossa – è un simbolo dell’islam politico utilizzato dai misogini islamici per sottomettere le donne e per rendere visibile nello spazio pubblico la progressione dell’islamismo. Risulta incomprensibile come movimenti femministi e partiti che spesso rivendicano maggiori diritti per le donne combattano questa iniziativa. Mustafa Memeti, Imam di Berna, ha chiaramente affermato che l’iniziativa è il salvagente per l’emancipazione delle donne nell’Islam, a riprova che anche gran parte degli islamici moderati sostengono questa proposta.

Va ricordato che un divieto simile è già in vigore in molti paesi in Europa, ad esempio in Francia, Belgio, Austria, Danimarca, Bulgaria e Lettonia e che la sua liceità è già stata addirittura confermata dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU). Infatti, l’art. 9 della stessa a riguardo di un divieto simile cita “costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Fra gli altri scopi dell’iniziativa vi è quello legato alla sicurezza. Infatti, a seguito del divieto proposto, la polizia potrebbe riconoscere il volto delle persone violente – ad esempio grazie alle immagini della videosorveglianza – durante certe manifestazioni e in occasione di eventi sportivi.

Su una cosa concordo con chi si oppone all’iniziativa. Il fenomeno del velo integrale in Svizzera è oggi fortunatamente ancora un problema marginale, ma – come già successo in molti Paesi – esso è destinato a diffondersi maggiormente, di pari passo con la crescita della radicalizzazione nelle fila dei giovani musulmani, ed è dunque meglio agire preventivamente, prima che sia troppo tardi. D’altronde l’esperienza fatta in Ticino, dove già da quattro anni è in vigore il divieto che ora si vorrebbe estendere a tutta la Svizzera, è stata positiva.

Si tratta insomma di fare una scelta di civiltà e decidere in quale tipo di società vogliamo vivere noi e le future generazioni. Chi opta a favore di una società democratica e dell’uguaglianza dei sessi – non solo a parole – ha la possibilità di lanciare un forte segnale di resistenza contro l’islamizzazione votando Sì il prossimo 7 marzo all’iniziativa “Sì al divieto di dissimulare il proprio viso”.

Piero Marchesi
Consigliere nazionale e Presidente UDC Ticino

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