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“Il medico di famiglia allunga la vita”

Scegliendo la professione di medico, ho votato la mia esistenza a migliorare quella dei miei pazienti. Oggi ascolto musica per le mie orecchie, scorrendo un recente studio dell’Università di Stanford, che dimostra su basi statistiche inattaccabili l’esistenza di una correlazione tra la densità di medici di famiglia e l’aspettativa di vita sul territorio. Ricercatori di Stanford e Harvard hanno paragonato con certosina pazienza milioni di dati statistici sulla mortalità della popolazione e sulla presenza di medici di base, passando al setaccio gli Stati Uniti, contea per contea, sull’arco del decennio 2005-2015. I dati pubblicati pochi giorni orsono sulla rivista inglese Jama Internal Medicine, dimostrano come, su un campione di centomila individui, ogni dieci medici in più corrispondano a un aumento dell’aspettativa di vita media di cinquantuno giorni.

La prova del nove che la connessione non sia dettata dal caso, è data da una verifica
incrociata, condotta seguendo i flussi migratori. Numero di avviamento postale alla mano, la durata media della vita degli individui che si trasferiscono aumenta o diminuisce (nell’ordine di un anno ogni 30), a seconda del numero di medici presenti in loco. Una correlazione quasi altrettanto forte di quella di polo opposto, tra fumo e aspettativa di vita. Il risultato mi compiace ma non mi sorprende: un professionista dedito alle cure di primo
ricorso è vicino alle persone, ne segue la storia familiare e ha maggiore facilità di
interpretarne tanto l’evoluzione fisiologica quanto quella psicologica. È naturale che ciò si traduca in una migliore qualità di vita del paziente. In questi giorni, il Consiglio degli Stati ha approvato un progetto volto a garantire la qualità e sostenibilità delle cure. È un’occasione
per ricordare la funzione centrale del medico di famiglia nella prevenzione e cura dei malesseri sul nascere: grazie al triage, scremando i casi che può trattare e risolvere direttamente sino al 70% e indirizzando i rimanenti verso lo specialista più idoneo, il nostro
ruolo è sinonimo di risparmi sul piano sanitario, tanto per il cittadino paziente quanto per la collettività. La Svizzera con una media di 115 ogni centomila abitanti è il sesto paese in Europa per densità di medici, ma registra una preoccupante penuria proprio nel settore dei medici di
famiglia, in particolare per quanto riguarda le valli e le zone discoste. Una carenza tanto più preoccupante nel nostro cantone, dove l’età media dei medici di famiglia è di 55 anni. Entro il 2025 il 60% di noi andrà in pensione: è imperativo garantire il ricambio generazionale. I giovani medici sono attratti da questa professione legata ai contatti umani, ma frenati da pesanti ostacoli: prospettiva di maggiore logorio e grande disparità di stipendio rispetto agli specialisti, difficoltà linguistiche, di accesso alle facoltà mediche (test attitudinale) e numerus
clausus.

Quattro anni orsono, la popolazione svizzera e in particolare quella ticinese dimostrarono il proprio attaccamento alla medicina di famiglia, approvando con ben l’88% dei suffragi un nuovo articolo costituzionale volto a promuovere l’accesso alle cure mediche di base in
Svizzera. Ma in Ticino sembra che tutto ciò sia rimasto lettera morta.

Franco Denti, candidato UDC in Gran
Consiglio

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