Comunicato stampa

L’UDC accetta il compromesso per le mense scolastiche e rimpiange la rinuncia all’insegnamento facoltativo del dialetto

Oggi, il Gran Consiglio ha parzialmente accolto la richiesta dell’UDC di lasciare alle famiglie la scelta se mandare i propri figli alla mensa dell’asilo o se farli tornare a casa per pranzo. Nel 2019 in un’iniziativa parlamentare, Sergio Morisoli per il Gruppo la Destra aveva chiesto di togliere l’obbligo di refezione a tutti i livelli, visto che per alcune famiglie il pranzo comune può essere di particolare importanza e un momento privilegiato per vari motivi, come i turni di lavoro dei genitori o il grado di maturità del bambino stesso. L’UDC continua e non si stancherà di sottolineare e promuovere il ruolo centrale della famiglia che non sarà mai sostituita né sostituibile dallo Stato. Pur avendo preferito la libertà di scelta incondizionata per tutto il periodo della scuola dell’infanzia, l’UDC accoglie il compromesso commissionale votato dal Gran Consiglio che prevede la mensa facoltativa per i bambini del primo anno di asilo e la possibilità di concedere delle deroghe per il secondo e il terzo anno di scuola dell’infanzia salvo l’ultimo semestre, quando la refezione in mensa sarà obbligatoria.

Per quanto riguarda l’altro grande tema scolastico, l’insegnamento facoltativo del dialetto promosso l’anno scorso dalla Lega e sottoscritto da Pamini, Denti e Galeazzi; l’UDC si rammarica per il poco coraggio della politica ticinese. Confinare il dialetto a mere iniziative culturali pagate da Swisslos o rinchiuderlo in fondo a qualche cassetto dell’archivio dialettale, non è infatti paragonabile all’insegnamento concreto e vivo della lingua popolare nelle scuole, seppur in forma facoltativa. All’UDC non convincono le perplessità espresse dagli altri partiti di fronte alle difficoltà didattiche e burocratiche, ma ritiene che “volere è potere” e che le soluzioni si trovano. Anche il Canton Grigioni aveva affrontato a suo tempo, la “riesumazione” delle diverse lingue romance e ci sono riusciti egregiamente. Peccato che il Ticino manchi di lungimiranza e non si renda conto di quanto sia prezioso il suo patrimonio popolare. Non è una questione di apprendimento di una lingua in più, ma è molto di più per chi ha a cuore le proprie radici culturali. È un modo per scoprire e mantenere la nostra identità in un mondo che si incammina verso l’anonimato e quindi verso la dimenticanza di chi siamo e da dove veniamo.

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