Editoriale

I cittadini del ceto medio: “Sono moltissimi e dimenticati”

Scena uno. La questione centrale e sempre più urgente è quella della verifica del rapporto fra Stato e Società civile. L’ammodernamento dello Stato va pensato per giungere al miglioramento dell’offerta pubblica passando però prima attraverso la rinascita e una nuova caratterizzazione della domanda pubblica. Le idee e gli strumenti non dovranno essere concepiti necessariamente per spendere meno ma per spendere meglio, appartengono a diverse discipline. All’economia quelli che riguardano la riqualifica della domanda e dell’offerta pubblica; alla finanza pubblica quelli della gestione parsimoniosa del tesoro pubblico; alla politica quelli della ridistribuzione del potere e del principio di sussidiarietà; alla filosofia politica quelli che riaffermano l’ordine sequenziale naturale: persona-famiglia-gruppi sociali e stato; al diritto quelli della promozione della libertà e della responsabilità personali.

Da una parte va messo in discussione il ruolo dello Stato che è sempre più arbitro, controllore, regolatore, educatore, soccorritore, ridistributore e protettore; ma dall’altra anche quello della società civile che passivamente e con troppa facilità ha delegato allo Stato compiti che le spettano primariamente in virtù dell’autonomia e della visione liberale della società. I cittadini devono essere messi al centro di questo lavoro considerando il principio di sussidiarietà, ritenuto che oggi vogliono e devono avere il diritto formale e materiale di poter scegliere i servizi pubblici tra alternative che siano efficienti ed efficaci, che abbiano un costo sopportabile e trasparente indipendentemente che sia lo Stato o altri enti privati profit o non profit a produrli.

Scena due. “Le politiche di sinistra” supportate dalla mano visibilissima dello Stato anno prodotto: diritti illimitati e deresponsabilizzazione individuale, ingerenza e ostacoli all’economia, iper regolamentazione, eccesso di controlli, permessi e certificazioni a go’ go’, prestazioni sociali “à la carte”, scuola ripiegata su sé stessa, moltiplicazione di imposte, tasse e balzelli, immigrazione libera e incontrollata, centralismo decisionale e pianificazione burocratica dell’alto, consumo dei soldi degli altri o di quelli che non ci sono. Si può invertire la rotta? Si! Prima però di nuovi modelli, prima di nuovi apparati, prima di nuove ideologie, prima di nuove pianificazioni, prima di nuove leggi, prima di un nuovo Stato; l’urgenza politica chiede di battersi senza sosta a favore di chi manda avanti il mondo: le famiglie e le aziende. Come? Con la sussidiarietà e la solidarietà a tutto campo. Cioè lasciando liberamente agire e togliendo i bastoni dalle ruote a chi nella società civile e nel mercato con speranza vuol fare, a chi con coraggio vuole costruire.

È una scelta elementare, solitaria, drammaticamente minoritaria, tuttavia potente! Una scelta che può trasformare in benessere il malessere generale e diffuso. Cioè far passare le famiglie tradizionali da penalizzate a favorite, le aziende serie da demonizzate a promosse; i lavoratori residenti da precari a valorizzati; i giovani da smarriti a protagonisti; i contribuenti da strizzati a rispettati; il ceto medio da dimenticato a considerato; la società civile da schiacciata a rilanciata; la proprietà privata da punita a incentivata; i bilaterali da subiti a governati; lo Stato da costoso e estensivo a parsimonioso e intensivo. Occorrono però delle premesse istituzionali: controllare il potere di chi (non)governa, spingere il Parlamento a fare il legislatore e il Governo l’esecutore, far rispettare le regole del gioco e le decisioni democratiche, dare voce ai cittadini in Parlamento e con la democrazia diretta.

Scena tre. Di questi tempi, quasi tutti realizzano che qualcosa sta cambiando. Non si sa se in bene o in male. Molti iniziano ad accorgersi che le loro vite, in qualche modo, sono trasformate. Sono quelle persone che si alzano ogni mattina per lavorare, che a fatica ma con orgoglio tengono in piedi la loro famiglia, che pagano fino all’ultimo centesimo le imposte, quegli imprenditori che creano lavoro per sé e per gli altri, tutti quelli che dallo Stato non beccano (per fortuna) neanche un centesimo di sussidio e non gli chiedono nulla, rispettano le leggi, non sfilano e non hanno lobby. Sanno che non saliranno più tra i ricchi e temono di scendere tra i poveri. Sono moltissimi e dimenticati. In fondo, noi come loro, desideriamo poche cose ma essenziali: sentirci liberi, una famiglia che ci ami, un lavoro che ci paghi dignitosamente, un Dio che ci perdoni e una patria che ci protegga. Sono loro, i cittadini del ceto medio dimenticato e in crisi, i protagonisti di questo momento storico. A volte appaiono palesemente tirati in ballo dai politici, ma più spesso sono nascosti tra le righe dei capitoli dei programmi e ci osservano impotenti e disillusi. La precarietà e le paure di questo ceto sociale hanno un’origine ormai ora ben definibile: l’identità smarrita, la cultura relativista, la democrazia in affanno, lo statalismo inarrestabile e il capitalismo rinnegato. Sono cinque “piaghe” che stanno penalizzando la singola persona e disgregando il popolo, rovinandoci il benessere individuale e la prosperità comune. Urge proporre e tentare una risposta profilata e politically non correct a queste cinque sfide.

Necessitiamo, lo intuiscono tutti, e desideriamo un incrocio tra “buona vita e vita buona”. Concretamente, una via politica osé che fondi il meglio del liberalismo e del conservatorismo. Possiamo essere noi i liberalconservatori. Quella generazione di cittadini e di politici, che il destino o la provvidenza hanno voluto chiamare ad attivarsi nella storia proprio all’inizio di questo terzo millennio; veniamo dopo le numerose generazioni di liberalpromotori e veniamo prima della generazione di liberaldistruttori che, sebbene ancora anonima, all’orizzonte fa già intravvedere la sua forma e le sue intenzioni.

Siamo forse rari, certamente minoranza e viviamo in diaspora, tuttavia siamo facili da individuare: siamo quelli che conoscono e sanno fare la differenza tra ciò che può cambiare e ciò che invece non deve cambiare. Buon 2023!

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