Editoriale

Non svendiamo il nostro passaporto

A inizio gennaio sono apparsi i primi cartelloni pubblicitari promossi da ambienti vicini all’UDC che raffigurano una donna con il burqa. L’obiettivo è chiaro. Sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della naturalizzazione agevolata degli stranieri della terza generazione in votazione il 12 febbraio. Le veementi reazioni degli ambienti di sinistra, che senza mezzi giri di parole hanno definito la campagna rozza, razzista e strumentale, in quanto – a loro dire – non riflette la realtà dei fatti, si è invece rivelata puntuale e azzeccata. L’opinione pubblica si è chiesta chi avesse ragione. L’UDC, che secondo la sinistra esaspera sempre i toni della comunicazione enfatizzando temi e problemi che non sono neppure all’ordine del giorno, o il PS, che propone una naturalizzazione agevolata per gli stranieri di terza generazione considerando automatico il fatto di vivere nel Paese da diversi anni sufficiente per definire una persona integrata. Negli ultimi giorni il partito socialista ha infine spazzato il campo da ogni dubbio, rivolgendo un chiaro appello agli stranieri che vivono nel Paese, di affrettarsi ad inoltrare la domanda di naturalizzazione, in quanto dal 2018 la procedura sarà un po’ più rigida. Lo ha però fatto in 10 lingue straniere, tra cui l’arabo e il serbo. La concezione socialista del termine integrazione è quanto mai discutibile, perché scrivere a persone da loro ritenute integrate nella loro lingua d’origine e non in una lingua nazionale dimostra che integrate non sono. O comunque non in modo automatico come invece li considera l’oggetto in votazione. I cartelloni raffiguranti la donna con il burqa hanno smascherato le reali intenzioni della sinistra. Naturalizzare il più possibile, svilendo l’importanza dell’ottenimento della cittadinanza svizzera. Il tema pone di fatto un problema che non esiste. Ogni anno più di 40’000 stranieri ottengono la cittadinanza svizzera e dati alla mano, il nostro Paese è tra quelli con la percentuale più alta di naturalizzati. Gli stranieri di terza generazione possono infatti ottenere la cittadinanza affrontando il percorso con la procedura ordinaria, come tutti gli altri stranieri che ne fanno richiesta. L’oggetto in votazione presenta numerose controindicazioni, tra cui il fatto che attribuisce la maggior parte delle competenze della procedura di analisi alla Confederazione, sottraendola di fatto a Cantoni e Comuni. Dal suo ufficio a Berna un funzionario sarà incaricato di decidere se un cittadino straniero di terza generazione domiciliato in Ticino ottempera i requisiti definiti dalla legge. Si elimina di fatto la possibilità per i Comuni di convocare il candidato e di analizzare gli aspetti che evidentemente non possono essere valutati solo sulla carta. Verrà inoltre invertito l’onere della prova, vale a dire che non toccherà più al richiedente dimostrare la propria integrazione, bensì allo Stato dimostrare il contrario. Ci sono fin troppi motivi che portano a votare no a questa proposta, in particolar modo perché la procedura attuale permette già agli stranieri, anche a quelli di terza generazione, di diventare cittadini svizzeri con una procedura chiara ed efficiente. Fermiamo pertanto sul nascere questa tendenza a svendere il passaporto rossocrociato lanciata dalla sinistra, che qualora passasse sarà solo la prima di molte altre offensive atte a banalizzare questo importante tema.

Piero Marchesi, Presidente UDC Ticino

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