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Mercato del lavoro e PMI

Dumping salariale, frontalieri e crisi lavorativa sono i termini che hanno identificato il Ticino negli ultimi anni. Ma di chi è la colpa? Le persone vogliono puntare il dito su qualcuno per avere una risposta sul perché la situazione lavorativa nel Cantone sia così disastrosa. Beh, forse vi sarete già fatti un’idea, ma ve lo confermo anch’io: non possiamo puntare il dito su nessuno, almeno, non possiamo farlo su un’unica istituzione, ente, legislatura o partito politico. Quello che è successo nel Ticino negli ultimi anni è stata una reazione a catena che non ha fatto altro che peggiorare uno scenario che non era esattamente roseo. La nostra comunità è stata in grado di fronteggiare e superare la crisi economica del 2008, anche grazie ai lavoratori transfrontalieri che hanno portato nuove competenze e di fatti, una mano d’opera richiesta ma inesistente sul nostro territorio. Ma com’è stata gestita questa migrazione in seguito? Male! All’inizio, la distribuzione della manodopera straniera era omogenea su tutto il territorio della Svizzera, ma negli ultimi anni è stato per la maggiore il Ticino ad assorbire questa affluenza. Le conseguenze de L’accordo sulla libera circolazione delle persone non vennero nemmeno considerate quando esso venne adottato e il Ticino si è ritrovato con un’immigrazione ambigua e a metà. Proprio così, noi abbiamo un’immigrazione lavorativa: i frontalieri lavorano e guadagnano sul territorio ticinese, ma di fatto non effettuano nessuna spesa, non vivono qui, non fanno consumano qui, non investono in beni e servizi sul nostro territorio. E come dar loro torto? L’enorme discrepanza tra salari e costi nel Ticino è spaventosa. Insomma, per dirla in parole povere: vediamo questi soldi uscire senza poterci fare niente. Non dimentichiamoci anche dell’Abolizione della priorità data ai lavoratori indigeni del 2004 ed ecco la ricetta per il disastro e una disoccupazione che è sempre stata più alta rispetto agli altri cantoni svizzeri, ed è proseguita e prosegue per lunghi periodi di tempo. Io non punto il dito sui frontalieri, come tali, come persone e come lavoratori. Punto il dito su tutte quelle istituzioni burocratiche e amministrative che sono arretrare, e di fatto non fanno nulla perché la situazione cambi. Forse nemmeno questa è l’espressione giusta. Piuttosto esse non sono “obbligate” a fare nulla sotto il punto di vista legislativo. Ormai lo sappiamo: chi ne risente maggiormente è il ceto medio, le PMI e i giovani. E ve lo assicuro, nemmeno loro puntano il dito sui frontalieri, come persone e come lavoratori. Il malcontento viene generato perché queste persone, questi esponenti della nostra comunità si trovano in un limbo da cui è sembra impossibile uscire.

In questo rapporto di ricerca dell’IRE sull’Approfondimento della situazione del mercato del lavoro ticinese negli anni successivi all’introduzione dell’Accordo sulla Libera Circolazione delle Persone (ALCP), emerge qualche dato interessante.

Alla domanda: “Perché vengono predilette le assunzioni di lavoratori frontalieri nella sua azienda?”, più di 300 datori di lavoro hanno affermato che si trattava di profili più qualificati, e che non c’entra la remunerazione più bassa. Quindi su chi puntare il dito? Sulle scuole che non preparano i ragazzi con programmi di educazione aggiornati e puntano su una formazione teorica e obsoleta? Sugli stessi Uffici Regionali di Collocamento che altrettanto mirano a programmi di riqualificazione professionale inutili e non ascoltano i bisogni dei disoccupati? O sul fatto che su carta non esistono precise regole di assunzione o contratti collettivi e questo permette alle aziende che assumono di fare ciò che porta loro il maggior profitto? I punti di domanda sono numerosi, ma la soluzione c’è.

Ridare Luce al Ticino alle prossime elezioni per il Gran Consiglio

È arrivato il momento di cambiare. La situazione lavorativa ticinese è complicata ma io rimango ottimista: dovremmo remare tutti nella stessa direzione perché ci siano dei cambiamenti concreti.

Riassumendo, le attuali criticità nel Ticino che riguardano il mercato del lavoro sono:

  • Assunzione di manodopera oltre confine, spesso, perché a costo minore;
  • Mancanza di profili professionali specializzati sul territorio ticinese;
  • Dumping salariale;
  • Discrepanza tra prezzi di beni e servizi sul territorio e salari percepiti;
  • Il fatto che il Ticino si presenta come un territorio arretrato, vecchio e poco attraente per lo sviluppo di nuove attività, startup o all’insegna della tecnologia e dei trend lavorativi;
  • Burocrazie e iter amministrativi datati, poco monitorati, che non supportano né il datore di lavoro né chi è alla ricerca di una riqualificazione professionale o di un posto di lavoro.Si tratta di provvedimenti che mettono al primo posto le esigenze del ceto medio, puntano sullo sviluppo economico, sociale e lavorativo per stare al passo non solo con gli altri Cantoni, ma anche con gli standard europei.

Alcune delle azioni da intraprendere per contrastare questo scenario riguardano:

  • Proporre delle incentivazioni per tutte quelle aziende che decidono di assumere personale nostrano (60-65% del totale delle risorse impiegato);
  • Penalizzazioni per tutte quelle attività che usufruiscono dalle facilitazioni fiscali del Cantone, sfruttando le risorse del territorio, continuando però a prediligere l’assunzione di manodopera a minor costo oltre confine;
  • L’impegno degli esercizi a cercare del personale specializzato prima di tutto in Ticino, in seguito nel resto della Svizzera, e in mancanza di risorse con le qualifiche professionali ricercate, all’estero;
  • L’istituzione di Poli tecnologici che facciano da incubatori per le nuove idee e realtà commerciali;
  • Rivedere il programma scolastico o i programmi di formazione in generale, per fare in modo che il Ticino formi dei profili professionali qualificati e in base alle esigenze del territorio.

Tiziano Galeazzi, Candidato UDC 

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